Il populismo e la sua diabolizzazione

Articolo pubblicato a Destra.it


 del 

Nel mese di gennaio dalle pagine del quotidiano El Pais, Papa Bergoglio è riuscito nell’intento di accostare il «populismo» all’ avvento del nazionalsocialismo in Germania, evidenziando il «pericolo della crescita del populismo nel mondo». Non molti anni prima, precisamente dal duemila tredici/duemila quattordici, si intensificarono le bordate contro la Lega Nord di Salvini ed il Movimento 5 Stelle, additati con modalità quasi indistinta, di essere dei serbatoi che alimentano l’odio, utilizzando una comunicazione politica che include dei messaggi xenofobi. Per non parlare delle dichiarazioni del neo-eletto Macron in Francia e dell’ultimatum di Paolo Gentiloni, chissà come mai rivolto proprio a Macron… che dalle pagine de La Stampa in data 30/06/2017, invitava le Président de la République ad accodarsi allo spauracchio imminente: “Aiutateci o vinceranno i populisti”. Insomma, da Berlusconi a Renzi, da Gentiloni a Macron, dalla Merkel a Mariano Rajoy, setacciando l’informazione e i programmi radiofonici e televisivi che non si occupano solo di politica, abbiamo assistito a puntate intere dedicate al tema e ad una “diabolizzazione” senza precedenti; a dire il vero, imbastita in malo modo, facendo confusione e non informazione, mettendo nello stesso pentolone diverse tipologie e realtà politiche, volutamente. Il discredito fa comodo a chi vuol tacciare la dissidenza allo status quo, legittimato da un’alternanza a staffetta del bipolio politico-elettoralistico che non ammette, nessuna possibilità di replica.

Ma allora, è opportuno fare un po’ di chiarezza che in questo caso, non viene certo contestualizzata dagli eventi persino internazionali e andare in profondità, per recuperare quel bandolo della matassa così ingarbugliato. Conosciamo tutti Alain de Benoist e le sue capacità di pensiero e riflessione. Ed è proprio per questa ragione che invitiamo a leggere il suo saggio, edito in Italia da Arianna Editrice, “Populismo. La fine della destra e della sinistra”, così distante dalla solita visione d’insieme sulla questione. Sospinta, neppure a dirlo, dalle increspature di un «sistema» che si alimenta per quello che riguarda la politica, dei balzelli e delle leggi elettorali pianificate a tavolino, ma ancor più dalle congiunzioni fra l’apparato costituzionale e l’insieme politico. Lo scopo, comprensibile persino ad un bambino, è quello di garantire l’avvicendamento dei due blocchi elettorali: i quali, non dimentichiamolo, vivono una fase di disaffezione da parte dell’elettorato, destatosi dal torpore degli spot politico-pubblicitari, dall’inconcludenza sui temi che contano e che nulla c’entrano con l’agenda politica. La quale, somiglia in modo imbarazzante a quella di un addestramento, finalizzato ad ottimizzare una politica (?) manageriale che ne de-struttura, dall’alto verso il basso, il senso originario.

Questo saggio di Alain de Benoist è una dedica al giovane filosofo ed intellettuale Thibault Isabel, che ha esordito in Italia con il suo scritto “Sesso e Genere. Uomini e donne nella società liquida”, edito da Diana Edizioni. Al filosofo ed analista politico Paul Piccone, animatore del forum internazionale Telos Istitute, specializzato in teoria sociale, cultura contemporanea e filosofia politica di origini aquilane che ha lasciato un vuoto incolmabile nel 2004. Ed in ultimo, all’indimenticato Costanzo Preve che molti di noi hanno seguito attentamente. Ma c’è un filo conduttore che guida il lettore all’approfondimento su che cos’è il «populismo» e la deriva delle rappresentanze, quintessenza di una griglia ideologica che include la destra e la sinistra. Vale a dire, quello dei due “irregolari” d’eccezione, quali sono il filosofo- intellettuale Jean-Claude Michéa ed il sociologo Michel Mafessoli, citati spesso da Alain de Benoist. La peculiarità dello scritto è quella di riuscire a mettere a nudo quei modelli tendenziosi di una «società totalmente amministrata» che alcuni ideologi, sconclusionati e concettualmente molto più vicini di quello che si pensa al «processo della modernità capitalistica», alimentano pur volendo dimostrare il contrario.

Ogni riferimento è diretto alle opere ed alle elucubrazioni di Michael Hardt e Toni Negri, ai due libri usciti negli Stati Uniti nel 2000 e 2004, intitolati Impero e Moltitudine. L’autore, analizza e scompone quelle che sembrano essere delle sintesi illuminanti sulla geografia del potere, sull’economia biopolitica e sulle forze di resistenza, indicate in una “moltitudine” e nell’antagonismo proprio della modernità. Fondate, sull’esposizione di tesi molto vicine alla rielaborazione di un manifesto per la rinascita di una sinistra radicale, che dovrebbe ricalcare le teorie aggiornate di Potere Operaio e Autonomia Operaia (siamo obbiettivi !), trascurando come sempre le argomentazioni più importanti. Verrebbe da dire che forse è ora di vivere il presente, guardando il futuro con occhi sgombri da un passato, rielaborato in maniera sempre più sofistica ma, riproposto tale e quale. Nell’Impero descritto da Hardt e Negri, la sovranità trasmuta nell’ente che detta le disposizioni dell’ordine mondiale, fa acqua da tutte le parti. E quei vertici degli Stati Uniti che figurano come dei semplici partecipanti molto fedeli all’Impero, quelli dei Paesi del G8, della Nato, delle multinazionali e del Fondo monetario internazionale, vengono inseriti in un crescendo contraddittorio, impostato sulla tesi erronea che «né gli Stati Uniti né altri Paesi costituiscono il centro dell’Impero. L’impero non è americano e l’imperialismo è finito», dovrebbero far meditare. Insomma, quanto basta per comprendere che l’anti-capitalismo di facciata, spesso è stato, ed è tuttora, molto più utile alla causa del profitto illimitato, invece di esserne uno degli stenui avversari.

Contrariamente alla destra che non ha mai nascosto la sua vena che scorre in tutto ciò che è materialismo ed economicismo, avvinghiata com’e’ ai competenti di espertologia del ramo politico del liberalismo (in verità, quanto la sinistra), sempre pronta a ricordare le ricette per ottenere una “buona vita”e delle “buone intenzioni”… Purché, l’importante sia compiere il proprio dovere da scrupolosi “automi”, disposti a salire sul patibolo: rivestendo i panni del carnefice prima e del condannato dopo, inventandosi una moralità di tornaconto ed un’etica pari a quella della Scuola di Chicago. Ancor meglio se capaci di salmodiare, come ha avuto modo di scrivere Christopher Lasch, le magnificenze della «virtù civica» e dimenticandosi, interamente, di cosa significhi lottare per il bene della collettività. Tornando al libro in questione, al Populismo raccontatoci da Alain de Benoist, in particolare al liberalismo ed ai figli del progresso presenti nelle due compagini politiche, troviamo a tal proposito un’interessantissima annotazione di Michéa: «Se il liberalismo dev’essere compreso come la forma più radicale del progetto politico moderno, è dunque in primo luogo perché propone addirittura di privatizzare integralmente quelle fonti perpetue di discordia che la morale, la religione e la filosofia necessariamente rappresenterebbero».

Basti pensare, alla riesumazione della dicotomia desta/sinistra e a tutto quello che comporta il riproporre un’opposizione, che ha tutta l’aria di voler allontanare dal problema principale. Come illustrato dall’autore del saggio, può risultare essere funzionale alla destrutturazione della nozione orwelliana di «decenza comune» che per Alain de Benoist, comprende anche «le qualità cui aderisce da sempre il senso comune, soprattutto nelle classi popolari», dov’è possibile ancora scorgere il senso di “onestà, solidarietà, generosità, lealtà, spirito del dono, senso della gratuità, senso dell’onore, gusto della reciprocità e del mutuo soccorso, ecc…”. Ed è, proprio questa caccia al nemico “populista”, celando volontariamente cosa sia il populismo e desiderando governare senza il popolo, espressione della volontà di ergersi ad un’élite immune agli sviluppi storici, all’obsolescenza di qualsiasi dogma per così dire politico, economico, sociale, del «movimento progressivo» della società, dell’ideologia di espansione dell’età del riformismo, del professionalismo cosmopolita e dell’umanitarismo auto-gratificante ma lucroso, che porterà alla fine dei “demoni del bene”.

Nonostante più di una componente “populista” abbia dimostrato di essere parecchio incline all’insieme che dice di combattere. In attesa del solito spauracchio dalla periodicità sconcertante.

Alain de Benoist

Populismo. La fine della destra e della sinistra

Arianna editrice, Collana Un’Altra Storia, luglio 2017

Pagg. 304, euro 14,50